30 December, 2005

Il futuro dei desktop

Posted in marketing, spunti at 11:48 by Sebastiano

In ambito aziendale è già da un pò che si ipotizza l’avvento su larga scala dei “thin client”, cioè PC ridotti al minimo indispensabile (in teoria costituiti da cpu, ram, monitor, tastiera/mouse/lettori ottici, forse un hard disk ma soprattutto una scheda di rete ultraveloce) connessi ad un server sul quale risiedono le applicazioni e lo spazio per la memorizzazione dei documenti.
Ricordo che, ormai quasi trent’anni fa, era già così in alcuni uffici; ad esempio mio padre lavorava su un terminale connesso ad un mainframe centrale (in realtà distante pochi metri) sul quale risiedevano dati e applicazioni (era della Bull, per la cronaca). Negli anni successivi è accaduto che le applicazioni sono diventate più complesse e pesanti, per cui le velocità di rete tecnicamente possibili si dimostravano insufficienti a gestire applicazioni installate in remoto ad una velocità accettabile.
Oggi le velocità di rete sono aumentate, per cui ridiventa possibile pensare ad una diffusione del “thin client”, soprattutto in ambito aziendale…ma non solo.

Con la velocizzazione delle connessioni ad Internet (vedi fibra ottica e co.) si può ipotizzare anche ad un desktop remoto (vale a dire “installato” su un server in una server farm ed accessibile via login/password) nel quale siano memorizzati dati e applicazioni; anche in questo caso credo che l’ambito di impiego sia soprattutto aziendale (ma mai porre limiti all’immaginazione) e il vantaggio risiede nella possibilità di fruire di una potenza di calcolo superiore senza costi fissi di manutenzione – è difatti un modello ASP, quindi di outsourcing tecnologico, con modalità di accesso tramite canone di abbonamento “all inclusive” (che includerebbe quindi anche eventuali upgrade software).

Tutte queste architetture di accesso remoto a soluzioni applicative potrebbero migliorare anche l’accessibilità (che è una importante leva del marketing) al software, aprendo lo spazio per modalità di abbonamento/pagamento adattabili a diverse realtà: penso ad esempio al concetto estremo di software on-demand – che detto in soldoni significa “pago solo quando lo uso”.
I produttori di software dovrebbero quindi prendere atto (in ogni caso) che è frutto di una concezione obsoleta la vendita di licenze software “a vita” per l’utilizzo di applicativi che dopo qualche anno diventano, anch’essi, obsoleti. Sarebbe molto più interessante avere licenze a tempo, basate anche sull’effettiva frequenza d’uso (nonché sul n° di utenti che possono utilizzare l’applicazione contemporaneamente), il tutto naturalmente a condizioni più vantaggiose di una licenza senza limiti.
Detto tra noi, credo che buona parte della pirateria (in particolare dell’under licensing) sia dovuto alla mancanza di ascolto del mercato da parte delle grandi software house: nonostante i miglioramenti degli ultimi anni, mancano sul mercato formule di licenza soddisfacenti per realtà che non siano grandi o grandissime aziende…e non parliamo dei privati, i quali per sfruttare tutte le potenzialità delle loro macchine dovrebbero spendere migliaia e migliaia di euro (ma le software house, quando fanno il piano di marketing di una linea di prodotti, si interessano del potere d’acquisto del consumatore?…e mettono coscientemente sul mercato dei prodotti inaccessibili a molti?).

La soluzione costituita da uno (o più) thin client connessi ad un server che gestisce gli applicativi e eroga la potenza di calcolo potrebbe avere un certo successo anche in ambito casalingo, se e quando il marketing di alcune aziende (vedi Microsoft, ma non solo) deciderà di puntarci con decisione. In questo caso il server potrebbe essere un pc super accessoriato, con schede di rete e wi-fi a banda larga oppure una sorta di media center potenziato; questo server casalingo dovrebbe poter dialogare con diversi terminali, quindi non solo thin client che fungano da PC ma anche device per ascoltare musica (sono già in vendita mini-device senza fili, si chiamano Digital Audio Receiver, vedi ad esempio il modello proposto da Creative), per videogiocare (come sopra, mini-device senza fili da trasportare di stanza in stanza), ed anche per vedere la tv, navigare, ascoltare la radio, ecc…
E’ quindi un’evoluzione del media center che – immagino – nei laboratori Microsoft (e non solo) sia già stata pensata e anche in fase di sviluppo. Ciò che manca è il marketing che la spinga…ci vanno cauti dopo che il lancio alla fine del 2003 di Windows Media Center è andato peggio delle previsioni (ma erano le previsioni ad essere sbagliate, probabilmente).

Basta che quando decideranno di lanciarlo sul mercato scelgano bene il momento e valutino bene la leva del prezzo…rischiano un secondo flop (il primo è naturalmente quello di Windows Media Center) se non considerano il potere d’acquisto del consumatore; il problema è che in questo periodo è sempre più difficile per il marketing scegliere il momento più proficuo per lanciare un prodotto, dal momento che l’indebitamento, proprio per l’acquisto di beni tecnologici o della casa che dovrebbe ospitarli è sempre più diffuso e pesa sui bilanci famigliari durante tutto l’anno solare.

Technorati tags: remote computing, media center, wireless computing, digital audio receiver.

19 December, 2005

Brand extension

Posted in marketing, spunti at 22:37 by Sebastiano

Oggi ho ricevuto il messaggio direct e-mailing visibile cliccando sull’immagine in miniatura. Reclamizza un servizio de “la Repubblica” (sì, il quotidiano nazionale) denominato “Repubblica voice”.
Di che si tratta? A prima vista di un servizio Voice over IP tipo Skype; leggendo meglio il messaggio si scopre che è la fotocopia di Skype, almeno a livello di selling proposition: chiamate gratuite da pc a pc, a tariffa vantaggiosa per le chiamate da pc a telefono fisso o cellulare.

Brand extension, è il titolo del post, perché credo che l’iniziativa del Gruppo Editoriale L’Espresso (ah, la DEM mi è arrivata via KwDirect) rientra proprio in questo tipo di “strategia”: allargare il brand includendovi servizi che, si suppone, il fruitore tipo della nostra marca altrimenti andrebbe a cercare da altri. Esempi tipici di brand extension si hanno nel settore dell’automotive: Mini di BMW come seconda macchina (o macchina per la città, per la moglie, per i figli) per famiglie nelle quali i capi-famiglia sono fedeli utenti di ammiraglie della casa tedesca.

Come filosofia potrebbe funzionare anche per “Repubblica voice”: l’editore offre un servizio di Voice over IP a utenti particolarmente attivi online (quali quelli che frequentano i siti di notizie), perché tanto questi utenti, se non da Repubblica, andrebbero a comprare il servizio da un altro.
Sembra non fare una piega, eppure personalmente rilevo che come iniziativa è in anticipo sui tempi: non vedo male l’idea di un editore che si mette a fare l’operatore di telecomunicazioni, anche se potrei non condividerne il valore strategico (a livello di coerenza) e non capisco quale valore aggiunto ne dovrei ricavare come utente (rispetto a servirmi di Skype o altri), ma temo semplicemente che la domanda che Repubblica spera di intercettare non c’è (mentre la domanda di piccole automobili di marca BMW da parte dei padri famiglia di cui sopra c’era, sebbene inespressa).Technorati tags: Voice over IP, brand extension.