3 March, 2006

Balzelli…

Posted in spunti at 13:08 by Sebastiano

La legge italiana, come molti sapranno, prevede un balzello fisso su ogni supporto vergine (CD, DVD, hard disk e quant’altro) il quale viene girato alla SIAE allo scopo di “risarcire” i mancati introiti da diritto d’autore derivanti dalla copia.

Detto così sembra che chiunque acquista un supporto vergine lo fa per copiarci musica o altri contenuti coperti da diritto d’autore. Ovviamente non è così. Su un CD si possono salvare anche backup di propri documenti di lavoro.

Detto così si può concludere che, siccome quando compro un cd vergine ho già pagato i diritti alla SIAE, mi sento a posto se lo utilizzo per copiare materiale pirata. Anche questo ovviamente non è così, ma la tentazione è forte.

…e infine, detto così sembra che se compro un Ipod (l’imposta riguarda anche i lettori mp3) e acquisto musica su Itunes, pago i diritti d’autore due volte. E’ proprio così.

Focalizzati questi punti, occorre ricordare che la normativa prevede un balzello fisso, il che incide notevolmente sui prezzi al consumatore (in molti casi l’imposta pesa più del costo del supporto vergine); secondo quanto riporta da ASMI, Associazione dei produttori di supporti magnetici, la legge italiana sta portando alla crisi economica le aziende del settore, una delle quali ha chiuso, come riporta Visionblog.it.
I dati ASMI sono ovviamente di parte, e non ̬ detto che quel 40% di calo delle vendite non sia dovuto anche alla riconfigurazione del mercato intorno a nuovi supporti di immagazzinamento non prodotti Рo prodotti in minima parte Рdai loro associati.
Occorre anche ricordare che la SIAE in Italia è, di fatto, un monopolio nel campo del diritto d’autore e che nulla ha a che fare con la difesa della proprietà intellettuale ma solo con il profitto intorno ad essa.

28 February, 2006

Comunicazione volgare / comunicazione violenta

Posted in spunti at 10:45 by Sebastiano

In questi giorni si presenta l’occasione, in diversi luoghi online ed offline, di discutere dei contenuti della comunicazione. L’occasione è data dalla famigerata pubblicità di Amica Chips, quella con Rocco Siffredi per intenderci.

Per intenderci la diatriba è la solita: da una parte chi pensa che certi messaggi “sessisti” non dovrebbero essere divulgati, anche perché rendono difficoltoso rispondere a domande dei figli che chiedono spiegazione in merito ad allusioni che non capiscono (non ancora…), dall’altro chi pensa che – quasi – tutto sia permesso in pubblicità…perché daltronde la realtà non è molto diversa da quello che si vede negli spot (e anzi può anche essere molto peggio).

Stessa occasione di discutere si era avuta con la “famosa” pubblicità di Toscani per Rare, quella dei due uomini che si palpeggiavano gogliardicamente le parti intime. In questa occasione ha brillato il commento della presidente del Moige (Movimento Italiano Genitori) che invitava a non normalizzare gli atteggiamenti omosessuali.
Personalmente ho trovato questa dichiarazione agghiacciante e ottusa, per un motivo semplice: tutti gli atteggiamenti e tutte le situazioni sono “normali” in partenza (direi, allo stesso livello); la classificazione di questi atteggiamenti e situazioni è frutto di un imprinting culturale successivo (principalmente basato sul pregiudizio e sulla violenza impositiva di un pensiero dominante), che non si può pretendere esclusivo ne imposto da chiccessia. Concetti banali, e doverosi in democrazia.

In questo senso la comunicazione è sempre stata democratica, sdoganando gli atteggiamenti e combattendo le ottusità.

24 February, 2006

Puntata n° 2 del buon lavorare

Posted in spunti at 0:09 by Sebastiano

Povero compagno, da egli pretendiamo senza dare, senza informare, senza dichiarare dove vogliamo andare a parare; talvolta addirittura senza nemmeno chiedere.

Povero partner, egli vorrebbe accontentarci e anticiparci ma le nostre capacità di condivisione sono futilmente scarse: tutti i dati non strettamente indispensabili non vengono divulgati. Spesso è l’agenzia stessa a non voler parlare troppo del suo cliente, perché altrimenti chissà quali segreti socialmente pericolosi potrebbero divenire di dominio pubblico (che l’agenzia X lavora al progetto Y per il cliente Z, terribili rivelazioni insomma…). Chi non segue questa prassi capisce subito che sarà sempre e puntigliosamente ripreso dall’interno dell’agenzia stessa.

Provero fornitore, che vorrebbe fornire un servizio dotato di valore aggiunto ma è frustrato nella sua speranza; non può dispiegare una consulenza di valore perché chi deve agevolarlo (anche a proprio beneficio, nell’ottenimento di un feedback di valore) si rifiuta di farlo spesso e volentieri senza una motivazione intelligente da addurre.

Batta un colpo chi non ha mai trattato in tal maniera con un partner (non per forza lavorativo); si penta e giuri di non rifarlo chi invece l’ha fatto. Avete fatto un pessimo servizio a tutti, ma prima di tutto a voi stessi, e avete contribuito a generare quel metodo di lavoro, tanto diffuso nel mondo pubblicitario, che vede i diversi attori/partner coinvolti in un progetto fornire soluzioni sbagliate a problemi posti superficialmente (per i farlocchi problemi di riservatezza di cui sopra).

C’è caso e caso, ovviamente, ma la maggior parte dei casi vissuti mi dice che non c’è motivo di condividere con fiducia informazioni preziose, anche se vanno oltre quelle strettamente indispensabili, per ottenere un feedback migliore e magari far nascere nel nostro “fornitore” un’idea, uno spunto, che può far la differenza.

Non finirò mai di pensare (e dire) che ogni persona non nasce per fare “il compitino” ma per spostare, anche di poco, un limite in qualche campo. Poi, per svariati motivi – tra i quali i più dannosi sono la ricerca di un superficiale quieto vivere e il rapporto di convenienza tra sforzo/beneficio che spesso va a favore della mediocrità (nel senso che si accetta un beneficio medio-basso, pur di minimizzare lo sforzo) – molti sopprimono questa “pulsione basilare”…ma questo sarebbe un altro discorso, oltretutto piuttosto lungo da affrontare in questa sede.

Vedi la puntata n° 1.

21 February, 2006

Lavorare…e farlo bene

Posted in spunti at 12:05 by Sebastiano

Ritorno su un punto a me caro…la qualità dell’ambiente di lavoro, dove per qualità intendo la possibilità di sviluppare potenziale innovativo.
A volte ho l’impressione che la “strutturazione” di un luogo di lavoro porta con sé anche una burocratizzazione dei rapporti (che parolaccia…lo so); sarà che l’agenzia dove lavoro ha inserito, negli ultimi sei mesi, diverse nuove risorse (anche in posti chiave, come la direzione commerciale), ma ho notato che la prima cosa che salta in mente ai più, quando un collega (magari un amato/odiato commerciale) arriva chiedendo qualche spunto per un progetto, è quello di pararsi le terga da un lavoro che si ritiene “scomodo” o che non si approva perché si è sempre fatto in un modo e non si vuole valutare qualcosa di diverso.

Non pretendo l’approvazione a priori, ma che quel “qualcosa di diverso” sia – ogni tanto – preso in considerazione senza pregiudiziali; onestamente, e lo dico sul serio, il tempo per ragionare e considerare le cose da un altro punto di vista non ci manca…e se ci dovesse mancare allora significa che stiamo perdendo l’opportunità, importante, di pensare anche a noi stessi.

La strutturazione di un luogo di lavoro – che magari fino al giorno prima è stato de-strutturato – si dimostra un’arma a doppio taglio se qualcuno pretende che la sua idea pesi più di quella degli altri…rifiutando perciò di capire gli altri. L’azienda così si struttura intorno alla conservazione anziché all’innovazione.

11 February, 2006

C’è una nicchia la fuori?

Posted in spunti at 18:52 by Sebastiano

Nicchia, luogo dove stare protetti e comodi, posto tranquillo e indisturbato…nicchiare, proteggersi, innalzare barriere all’ingresso…

C’è tutta una terminologia “markettara” che, a fianco del gergo militaresco (aggirare, accerchiamento, terreno di scontro), non fa altro che parlare di ricerca di vie di fuga. E’ il vecchio concetto della nicchia di mercato: se un tempo la sua ricerca significava la ricerca di una specializzazione in grado di fornire all’azienda un vantaggio competitivo, oggi sembra sia la ricerca di un luogo dove si debba fare il minimo indispensabile per sopravvivere tranquilli (vivere di rendita, anche senza strafare).

Non avevo mai pensato che la strategia di marketing dei timorosi (quelli che non fanno mai un passo in avanti e non inventano mai nulla) fosse iscritta nel lessico del marketing, o almeno in una sua interpretazione.

Cosa ne consegue? Che una buona regola per far uscire allo scoperto le energie inaspettate (nel lavoro e non solo) è l’abolizione del gergo isolazionista e timoroso.

E’ una tendenza attuale, d’accordo, quella della ricerca del rifugio, l’isola felice, uno spazio dove collocarsi in attesa che la situazione internazionale si sistemi (sotto tutti i profili, quello economico, quello sociale, quello politico); è una tendenza, è una tentazione.
Rifugiarsi in uno spazio isolato o stare al proprio posto è anche una cattiva abitudine, insegnata fin dai primi giorni di scuola: stai al posto tuo è starai tranquillo.
Si insegna ad essere nella media, a seguire uno standard organizzativo esogeno, a non uscire con idee balzane che disturbano; il bello è che poi si pretendono imprese fiorenti, mercato dinamico e quant’altro…impossibile.

Non voglio però negare l’importanza di ogni esperienza formativa: è vero che c’è un tempo per imparare, avere metodo e rigore; c’è un tempo per lasciarsi travolgere ed assorbire – più che rifiutare o fronteggiare – i cambiamenti esterni. La metafora potrebbe essere quella del “tutt’uno”; se sei tutt’uno con lo scenario che evolve, non hai bisogno di difenderti dal cambiamento; sarebbe come volersi difendere da se stessi.

Mi rendo conto di avere, in questo post, mescolato i piani: pubblico e privato, impresa e persona, economia e società. Sono partito dal molecolare, il gergo tecnico degli uomini di marketing, per aprirmi ad un’impostazione generale.
Il significato generale è che non c’è più nicchia o protezione in grado di reggere a lungo: lo scenario è quello di un deserto in continuo cambiamento per l’effetto dei venti.

4 February, 2006

Questioni di stile…

Posted in spunti at 17:29 by Sebastiano

Una frase pronunciata a cuor leggero da una collega:
“E’ incredibile, i nostri account fanno gli stessi errori di cui – loro stessi – si lamentano quando a farli sono i nostri clienti”.
Una frase detta a cuor leggero che ha riaperto una questione, che riassume bene il senso di riproduzione di certi automatismi gestionali: la persona che riproduce le “ingiustizie” che gli cascano dall’alto verso chi sta in basso.
La persona che, diventata responsabile, anziché cambiare lo stile gestionale che ha subito fino al giorno prima (che esclude la condivisione delle informazioni e delle decisioni), ne riprende appieno le caratteristiche perché, più o meno inconsciamente, è il momento per lei di godersi qualche privilegio decisionale.

Penso invece che dovrebbe essere sempre lasciato spazio, non a parole ma con “puri fatti”, a idee diverse, anzi andrebbe stimolata la proposizione da parte di tutti i collaboratori ad un progetto, con l’unico obbligo – da parte del “responsabile” – di garantire un coordinamento di base: il ruolo del responsabile non è affatto quello di prendere decisioni, bensì quello di coordinare altri decisori, altre decisioni, altre persone in grado di pensare e proporre…messe lì apposta per questo. Un abilitatore insomma…

31 January, 2006

La Cina è…vicinissima

Posted in spunti at 22:24 by Sebastiano

Probabilmente a lungo andare alcuni cinesi di origine potrebbero aversene a male, per il continuo utilizzo della Cina come metro di riferimento per la censura. Nonostante sia chiaro che la Cina è tuttora sotto un regime, mi fa pensare quando vedo nazioni come la nostra (esportatrice di design e democrazia, più il primo che la seconda all’atto pratico) prendere in prestito “tecniche” tipiche dei regimi per limitare l’accesso alle informazioni online.
Caso limpido è quello delle scommesse online: la finanziaria 2006 (approvata lo scorso anno) istituisce la black list anche per quegli operatori che, pur operando legalmente e alla luce del sole all’estero (con tutti i controlli del caso), non hanno un autorizzazione governativa in Italia. Di certo ci sono anche alcune realtà border line, con sede legali in paradisi fiscali o affini. E’ bene che queste spariscano…ma infatti non discuto il fine, quanto il metodo, ovvero l’impiego della black list.
Non sottovaluterei la cosa, nel senso che non vorrei vedere i nostri governi prenderci gusto, dando retta a qualcunque richiesta da parte di chi vorrebbe, per interessi strettamente suoi di parte, mettere in black list siti web che non gradisce siano liberamente accessibili. Come ad esempio Sky, leggere il virgolettato su Minimarketing per credere.

23 January, 2006

L’azienda può/deve fare a meno dell’agenzia?

Posted in on line advertising, spunti at 22:54 by Sebastiano

…ovviamente sarei un pelo di parte se rispondessi alla domanda posta nel titolo (per la cronaca e per chi non sapesse, lavoro in un’agenzia/centro media); è il modello pubblicitario introdotto da Google adWords qualche anno fa, a far emergere questo quesito. Secondo questo modello, per quanto applicato ad una nicchia del mondo pubblicitario, il ruolo dell’agenzia è marginalizzato dalla struttura stessa del servizio: un servizio di advertising contestuale che presuppone, da parte di chi lo attua, una profonda conoscenza del business e degli obiettivi di marketing…tutte informazioni che le aziende italiane sono riluttanti a condividere anche con i loro consulenti di comunicazione.
A ciò si aggiunge il fatto che realtà come Google (e in parte anche i suoi concorrenti) sembrano strutturarsi per seguire direttamente il cliente finale, saltando l’agenzia.

Se poi vedo Google che acquisisce un’azienda specializzata in pubblicità radiofonica (DMarc Broadcasting), peraltro un’azienda, quella acquisita da Google, interessantissima perché offre servizi che permettono di gestire una campagna via radio con una flessibilità analoga a quella offerta dagli adserver per le campagne online: vale a dire caricamento della campagna da remoto – niente più spedizioni di supporti fisici – possibilità di scegliere i posizionamenti in maniera flessibile – così come gli adserver permettono di scegliere i posizionamenti di una campagna online fino al singolo sito – misurabilità del numero di volte nelle quali lo spot radiofonico è stato riprodotto – analogo al dato sulle impression per banner e altri formati grafici).
Digressioni a parte, è chiaro che uno strumento di tale flessibilità, così come AdWords o la pubblicità sui network di affiliazione (Zanox e Tradedoubler) si prestano ad una gestione diretta del cliente con il supporto dell’azienda che gestisce tutto il sistema (Google e co.); in questo contesto una parte significativa del lavoro svolto da centri media e agenzie di comunicazione interattiva perde di senso: mi riferisco a tutta l’attività di contrattazione/media buying.

Ai centri media “puri” rimarrà quindi ben poco da fare in questo campo, dal momento che il loro modello di lavoro è strettamente legato al media planning e all’acquisto spazi (a meno ovviamente di non introdurre divisioni “brand new” dove la mentalità e l’organizzazione del lavoro in stile “centro media” non entrino nemmeno di striscio), mentre per le realtà come le agenzie e le società di consulenza può esserci ancora spazio per quanto riguarda il supporto alla strategia di comunicazione online: per fare ciò queste realtà devono essere un passo avanti rispetto ai clienti nella consapevolezza sull’uso degli strumenti di contextual advertising e sulla pubblicità interattiva in generale (banale, quantomeno come concetto), e devono nel contempo avere il coraggio di chiedere ai clienti quali sono i loro obiettivi di marketing (e se non li hanno definiti, guidarli anche in questo lavoro)…in modo da poter creare veri piani strategici…e non documenti strategici (come ho visto fare) nei quali non v’è traccia di strategia.

19 January, 2006

Nuovo brevetto da Apple

Posted in spunti at 22:31 by Sebastiano

Apprendo, tramite MIT Advertising Lab, che Apple ha chiesto la registrazione di un brevetto per un display che incorpora al suo interno una camera in grado di catturare immagini. In parole povere si tratta di un device in grado sia di visualizzare immagini, sia di catturarle.
Premesso che la registrazione di questo brevetto può avere, come è purtroppo di norma, uno scopo “difensivo� (ovvero di impedire ad altri di creare e mettere sul mercato questa innovazione): le aziende hanno già intrapreso da lungo tempo l’abitudine di utilizzare i brevetti come arma di difesa dalla concorrenza, complice il fatto che, soprattutto in alcune nazioni più che in altre, oggetto di “patenting� può essere anche un’idea (il famoso esempio di chi brevetta il concetto di “finestra� e rivendica perciò le royalties da ogni produttore di software con una interfaccia grafica a finestre) e non necessariamente (come sarebbe invece più giusto) una tecnologia o un processo esecutivo per l’ottenimento di un risultato.
Detto questo, non è perciò sicuro che Apple abbia intenzione di sviluppare questa tecnologia, ne che sia in grado di farlo a breve, anche se dal punto di vista applicativo uno scopo per uno schermo “a due vie� (in grado di visualizzare e catturare immagini allo stesso tempo) potrebbe esserci: penso in particolare alla possibilità di creare dispositivi mobili (in primis mi riferisco ai cellulari) risparmiando l’ingombro della camera per le videochiamate (pur se già piccola e poco ingombrante oggi).

15 January, 2006

Far decollare le agenzie…

Posted in spunti at 22:30 by Sebastiano

Se lavorare nel marketing online significa fare marketing multi-disciplinare (diamolo per assodato, anche se molta cattiva informazioni gira su questo tema) anche l’organizzazione del lavoro dovrebbe riflettere questo fatto; è chiaro che l’organizzazione non è propriamente (non è affatto) il mio campo, ma dopo aver militato in agenzia piccole, medie e grandi centri media, ho realizzato che i team che lavorano meglio sono quelli composti da persone con sensibilità trasversali sui temi della comunicazione.
Possono essere ad esempio i team che si occupano dei grandi clienti (sono piuttosto frequenti nei centri media internazionali), ma il team “per elezione” di questo genere potrebbe proprio essere quello che si occupa di marketing digitale…per i motivi che tutti sanno (o dovrebbero sapere): digitale è un termine (un aggettivo) che indica un insieme di strumenti con i quali si possono praticare modalità disparate di comunicazione, con obiettivi che vanno dalla brand awareness al direct response.
Perciò, ci vogliono persone con aperture mentali trasversali, come già dicevo; per contro quindi tale modo di lavorare si adatta poco ai compartimenti chiusi che vedo in tutte le organizzazioni.

La pubblicità online è decollata, come viene sottolineato a mo’ di mantra in ogni occasione, ma ciò non significa che il successo per degli operatori del settore sia un automatismo: per questo bisogna far volare su ben altri livelli il modo di lavorare delle agenzie.

Next page